Resa più forte e urgente dalla pandemia, anche nel fuoricasa italiano la sostenibilità sta assumendo un ruolo centrale nel modo di fare impresa e nella proposta food&beverage
La notorietà, l’immagine e l’appeal del nostro Paese si basano su molti pilastri: l’arte, la cultura, la storia, la moda, il design e – forse e soprattutto – il cibo.
Il ruolo e l’importanza che la tradizione e l’offerta culinaria italiane hanno assunto negli ultimi anni sono ben chiari anche a chi fa ristorazione, che si sente, deve sentirsi investito quindi anche di una responsabilità pubblica.
Proprio il senso di questa responsabilità ha portato Fipe, che rappresenta il mondo dei pubblici esercizi italiani, a redigere il Manifesto della Ristorazione Sostenibile, perché quella della sostenibilità in tutti i suoi aspetti, valoriali ed economici, è la sfida fondamentale del presente anche nel mondo del food&beverage. La salvaguardia del pianeta, il risparmio delle risorse non rinnovabili, la riduzione delle emissioni di CO2 e dello spreco alimentare: sono tutti ingredienti della sostenibilità. Una parola che oggi, al di là dei contenuti ambientali, ha anche risvolti etici, ricomprendendo in sé il rispetto della legalità innanzitutto, ma anche la salvaguardia di un modo etico di fare impresa. Per il mondo della ristorazione questo significa certamente garantire il rispetto del cliente offrendogli prodotti e servizi adeguati alle sue aspettative, senza scorciatoie e furbizie. Ma si manifesta allo stesso tempo nel riconoscere e valorizzare coloro che – dai produttori fino al personale di sala – contribuiscono con il loro lavoro e il loro impegno alla soddisfazione del cliente e al successo dell’impresa. Senza tralasciare la necessità di assicurare la trasparenza dei menu e dei prodotti utilizzati, la sicurezza nella conservazione e nella preparazione degli alimenti. Tutto questo è per la ristorazione italiana un dovere civile, ma l’applicazione delle buone pratiche della sostenibilità rappresenta anche un’eccellente occasione per rendere il fuoricasa tricolore ancora più trasparente e attrattivo.
L’abc
Ma quando un ristorante è sostenibile? E coniugare la sostenibilità e il buon cibo è possibile? Come diventare sostenibili?
Il punto di partenza è ovviamente assumere un atteggiamento rispettoso per l’ambiente, anche quando siamo a tavola. Di qui la necessità di un nuovo approccio che si basa su semplici procedure così come su tecnologie innovative, portando benefici all’ambiente, alla nostra salute e al modo stesso di fare ristorazione.
La sostenibilità non si traduce solo in un impatto minore sull’ambiente ma anche nell’incrementare i vantaggi di natura socio-economica di che opera nel foodservice. È qui che sta la sfida: coniugare le buone pratiche con migliori performance aziendali, riducendo i costi fissi di gestione.
Per abbracciare la sostenibilità, ogni ristorante deve introdurre piccoli accorgimenti in diversi ambiti: alimenti, energia, rifiuti, qualità del lavoro e trasporti. Per ciascuno di tali aspetti della vita e della gestione di un ristorante, per andare verso la sostenibilità occorre scegliere i prodotti giusti (km zero, filiera corta, commercio equosolidale, marchi tutelati, produttori locali e bio), gestire in modo ottimale il menu (per evitare sprechi, seguendo la stagionalità, etc), selezionare fornitori sostenibili, organizzare lo stoccaggio del magazzino, usare fonti di energia rinnovabili, pianificare azioni di pulizia con materiali e detersivi appropriati, sviluppare un piano di manutenzione adeguato, apportare cambianti nella struttura, nei materiali degli arredi e in quelli usati per la somministrazione il consumo e il trasporto dei cibi, nonché, last but not least, informare la clientela degli sforzi compiuti in direzione della sostenibilità.
La parola ai ristoratori
Ma ecco come alcuni format di ristorazione declinano la sostenibilità nella loro offerta e nella loro attività.
Berberè
Sono 14 in Italia e uno a Londra i locali aperti del marchio nato a Bologna, tutti a conduzione diretta, e danno lavoro a 180 dipendenti. Lo scontrino medio è di 15 euro, per un’offerta che è basata essenzialmente sulla pizza, con pochi “sfizi” (30%) e qualche dessert (20%). La pizza è realizzata con lievito madre vivo, farine biologiche semintegrali, tagliata in otto spicchi. Nella guarnitura gli ingredienti utilizzati sono per la maggior parte da agricoltura biologica, prodotti da aziende attente alla sostenibilità: così nel menu troviamo le carni della Macelleria Zivieri di Monzuno (BO), i capperi di Salina Presidio Slow Food, il pomodoro biologico di Alce Nero e formaggi d’alpeggio. Il forno nei locali è elettrico, il che permette di tenere una temperatura più costante a circa 350 gradi. Da sempre il format è molto attento al tema della sostenibilità: “E non per scriverlo o sbandierarlo, ma per rispetto”, sottolineano i fratelli Matteo e Salvatore Aloe, proprietari del marchio. “Usiamo molti prodotti bio, cerchiamo di ridurre al minimo il packaging di plastica da parte dei fornitori e non ne usiamo per i nostri clienti. Anche i box pizza sono fatti con inchiostro ad acqua, perfettamente riciclabili se puliti. Usiamo forni elettrici anziché a legna. I prodotti provengono da contadini o allevatori che hanno la nostra stessa filosofia”.
Hamerica’s
Il format di cibo americano con passaporto italiano ha aperto di recente a Bologna il suo primo punto di vendita 100% plant-based: nel locale all’ombra delle Due Torri si servono infatti tutti i grandi cavalli di battaglia del brand, ma rivisitati in chiave vegetale, grazie alla partnership con la spagnola Heura.
Come ha dichiarato Davide Gionfriddo, ceo di Foodelicious, proprietaria del marchio Hamerica’s, fin dalla sua fondazione nel 2016 l’azienda ha sempre lavorato su tre aree di sviluppo strategico: innovazione, qualità e sostenibilità. Tre pilastri che oggi si sostanziano perfettamente nel sodalizio con Heura (che con la lista di ingredienti più corta del mercato e di origine mediterranea ha creato materie prime dal gusto inconfondibile), nella qualità della materia prima (dal pane sfornato ogni giorno, alla carne proveniente da allevamenti non intensivi) e nella sostenibilità. Un tema particolarmente sentito fin dalle origini: l’azienda impiega materiali di recupero per oltre il 30% per gli arredi e materiali compostabili. A ciò ora si somma anche l’uso di carni vegetali per ridurre ancora di più il carbon footprint della catena. Un risultato che sottolinea anche Marc Coloma, co-fondatore e ceo di Heura, secondo il quale la partnership con Hamerica’s dimostrerà anche ai consumatori più scettici che mangiare in maniera sana, preservando l’ambiente non vuol dire rinunciare al gusto. La versatilità dei prodotti dell’azienda iberica permette infatti di rivisitare in chiave vegetale una pluralità di ricette, tanto da poter pensare un ristorante con una proposta completamente plant based, fondata sulla “carne del XXI secolo”. Basti dire che ogni Heura Burger rispetto a un hamburger di vitello fa risparmiare 1.700 litri d’acqua, il corrispettivo di 27 docce e 6,24Kg di CO2, pari alle emissioni di una macchina che percorre 26 km. Ogni confezione di pollo Heura invece, oltre a essere completa da un punto di vista nutrizionale, fa risparmiare oltre 770 litri d’acqua, il corrispettivo di 12 docce, e 0,77Kg di CO2.
Kebhouze
La neonata catena di kebab di Gianluca Vacchi, Kebhouze, che ha aperto le sue prime 5 location a dicembre in contemporanea a Milano e Roma per poi puntare a 20 altre replicazioni nel 2022, ha fatto della sostenibilità uno dei suoi pillar: il food packaging è completamente eco-friendly, comprese le acque naturali in tetrapack brandizzate.
Anche sotto il profilo della sostenibilità economica locale, il format ha optato per una valorizzazione delle aziende italiane, da cui viene fornita tutta la carne, e dei produttori locali, con cui ad esempio si è instaurata una collaborazione sulla produzione di due diverse birre artigianali che saranno presenti in store…
Pescaria, Pizzikotto, Pizzium, Ham Holy Burger, McDonald’s, Caffè Pascucci, Panini Durini, Il Mannarino, Poke House, KFC, Dispensa Emilia.