“Apprendiamo con dispiacere che, ancora una volta, la ristorazione collettiva è stata esclusa dalle misure contenute nella manovra di bilancio approvata per il 2023. Segno che il nostro grido d’aiuto non è stato ascoltato e che al settore delle mense, in primis quelle scolastiche, non viene riconosciuto il valore nutrizionale, ma anche sociale, che invece ha”. Con queste parole Carlo Scarsciotti, presidente di Angem, l’Associazione nazionale della ristorazione collettiva, e di Oricon, l’Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione, ha commentato la notizia che l’emendamento con il quale era stata chiesta la revisione dei prezzi obbligatoria per i contratti della ristorazione collettiva e l’istituzione di un fondo a parziale ristoro affinché la rinegoziazione dei prezzi non gravi sulle famiglie non è stato inserito in manovra.
“Ci auguriamo di poter continuare a lavorare nel nuovo anno con chi sinora ha dimostrato apertura verso le nostre istanze per tornare a dare il valore che merita alla ristorazione collettiva”, ha aggiunto Scarsciotti. “Come sottolineato dal ministro Schillaci in una recente intervista, occorre insegnare ai ragazzi ad alimentarsi bene sin dalla scuola primaria, ed è quello che la mensa fa ogni giorno, servendo pasti equilibrati, sani e completi a tutti i ragazzi”.
Il rammarico è doppio in quanto proprio Angem insieme a Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei pubblici esercizi, da settimane denunciavano una situazione insostenibile per le imprese che rischia di ripercuotersi su un servizio essenziale: “L’impennata dell’inflazione e il caro energia stanno mettendo a rischio il servizio di mensa nelle scuole, negli ospedali e nelle Rsa. È necessario un intervento immediato del governo per permettere alle imprese di adeguare il prezzo di ciascun pasto senza che questo pesi sui bilanci delle famiglie e degli utenti”. Così le due associazioni avevano scritto in un appello all’esecutivo affinché agisse speditamente. “Nell’ultimo anno”, spiegava in particolare il presidente Scarsciotti, “il costo delle materie prime alimentari è lievitato del 23%. Una mazzata che si aggiunge al caro energia che vedrà le nostre imprese spendere nel 2022 ben 346 milioni di euro in più per il pagamento delle forniture di gas ed elettricità rispetto al 2020. Una combinazione letale per un sistema che non consente alle imprese che hanno vinto l’appalto prima del 27 gennaio 2022 di adeguare i prezzi del servizio all’inflazione, nonostante il costo di ogni singolo pasto sia cresciuto del 55%”.
Da qui la doppia richiesta che era stata rivolta al Governo: “Da un lato consentire alle imprese che hanno sottoscritto un contratto con la pubblica amministrazione prima del 2022, di allineare i prezzi alla nuova situazione di mercato. Dall’altra, dare alle stazioni appaltanti una linea di indirizzo univoca, imponendo di attivare le clausole che consentono l’adeguamento dei prezzi”. Obiettivo, come aveva sottolineato il direttore generale di Fipe-Confcommercio, Roberto Calugi, “compensare gli extra costi sostenuti dal settore, salvaguardando così 92mila occupati in 1.500 aziende che erogano ogni giorno 5 milioni di pasti. Un servizio essenziale e le congiunture di mercato non possono ricadere sulle famiglie”.