Alimenti da agricoltura sostenibile, locali e stagionali; pasti trasparenti che parlino al consumatore; impiego di materiali sostenibili e riciclabili; menu adatti a tutti e anti-spreco: sono alcune delle raccomandazioni del piano per la sostenibilità del settore della ristorazione messo a punto dagli esperti dell’Università Cattolica, campus di Piacenza.
Si tratta di un piano che mira a ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale della ristorazione, basato su buone pratiche, sistemi di qualità, misure da attuare sia in sala che in cucina.
“Il progetto pilota si è svolto nelle province di Parma e Piacenza su 29 ristoranti oggi certificati”, ha spiegato Ettore Capri, direttore del centro di ricerca Opera – Osservatorio europeo per l’agricoltura sostenibile della Cattolica.
“È un vero cambiamento culturale”, ha detto a sua volta Lucrezia Lamastra, coordinatrice scientifica della quinta edizione dell’evento “Innesti sinergici”, che nel polo universitario piacentino ha visto protagonisti chef professionisti e giovani chef, che si sono contesi il premio alla migliore ricetta sostenibile davanti a una giuria di esperti nutrizionisti, scienze gastronomiche, giornalisti, enologi e manager. Gli chef hanno presentato dei menu che coniugano tecnologia, gusto, conoscenze alimentari, esempi di come fare ristorazione realmente sostenibile, insieme all’associazione Piacecibosano – Ristorazione Sostenibile 360 (RS 360).
“Cinque anni fa le ricette sostenibili si basavano sul mero recupero di bucce di frutta e di verdura, di residui vegetali e animali, di composte di ingredienti non validi dal punto di vista nutrizionale. Oggi assistiamo ad una cucina di alta qualità dove la sostenibilità si coniuga con alto livello nutrizionale ed innovazione gastronomica”, ha aggiunto Lamastra.
Proprio sul tema della sostenibilità nella ristorazione, i ricercatori della Cattolica hanno pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, una ricerca guidata dal professor Capri, finanziata tramite il conferimento della borsa di ricerca da parte della fondazione Invernizzi a Roberto Di Pierro ed Elisa Frasnetti. Al centro del lavoro come, adottando comportamenti sostenibili come la formazione del personale, il coinvolgimento della comunità, l’attenzione alla qualità dei prodotti, il 76% dei ristoranti analizzati raggiunga almeno il 70% degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dettati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030. La ricerca ha analizzato in dettaglio sette possibili programmi sviluppati per accrescere la sostenibilità del settore, dimostrando come solo i programmi che prendono in considerazione tutti gli aspetti della sostenibilità ambientale, economica e sociale sono più efficaci e resilienti alle emergenze economiche del settore.
“Gestire una realtà ristorativa seguendo gli obiettivi di sviluppo sostenibile è possibile”, ha sottolineato Capri. “E porterebbe a notevoli benefici per le diverse comunità territoriali italiane, oltre ad essere un’eccellenza del made in Italy da esportare all’estero. A seguito della raccolta dei dati per la ricerca è emerso che le realtà economiche della ristorazione tendono a soffrire di forte obsolescenza, e spesso le loro attività sono caratterizzate da processi altamente lineari che possono creare spreco, anche se non intenzionalmente. Il prodotto usato dai ristoratori viene acquistato, immagazzinato, trasformato, servito e consumato, escludendo, nella maggior parte dei casi, qualsiasi soluzione ciclica”. Il punto di partenza è che circa il 14% dell’intera filiera agroalimentare in Italia finisce in sprechi: si tratta di ben 700 mila tonnellate di cibo buttato all’anno, pari a quasi 2 miliardi di euro. La causa? Il mancato incontro tra domanda e offerta che, insieme a una caratterizzazione dell’offerta spesso completa e differenziata, rende complicato per il ristoratore pianificare l’approvvigionamento in maniera ottimale. Non solo: la preparazione di menu finalizzati al riutilizzo dei prodotti alimentari è una pratica ancora poco diffusa, così come l’educazione e la sensibilizzazione dei clienti ad evitare gli sprechi.
La ristorazione, se è non sostenibile, contribuisce ai cambiamenti climatici anche in modo esplicito, producendo anidride carbonica. Secondo la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) le imprese di ristorazione sono giocoforza energivore: richiedono in media 8,6 miliardi di kWh all’anno, circa 26.000 kWh per ogni ristorante, quasi dieci volte in più rispetto al fabbisogno di una famiglia media, e circa il 16% in più di quanto dovrebbe essere consumato da ogni impresa. E non è tutto: il settore consuma circa il 28% in più di acqua, rispetto gli standard previsti, in relazione alle dimensioni della superficie del locale. L’uso inefficiente delle risorse alimentari, idriche ed energetiche da parte del comparto ha dunque un forte impatto ambientale, sociale ed economico. I numeri: l’attività di ristorazione è responsabile di circa 110.201 chili di CO2/eq all’anno, con 6.601,56 chili di CO2/eq da risorse energetiche e 103.600 chili di CO2/eq relativi allo spreco alimentare. Questi impatti potrebbero essere ridotti al 30% seguendo adeguati standard di gestione.
I carichi ambientali non sono peraltro l’unica conseguenza dell’uso improprio delle risorse. Nella spesa annuale di un ristorante, la somma degli importi per materie prime e ausiliarie, acqua ed elettricità equivale al 25% dei costi totali. Ciò rappresenta una perdita pari a circa il 5% del fatturato annuo totale considerando gli standard di utilizzo e dimensione dell’area. “La nostra ricerca evidenzia che i programmi di sostenibilità potrebbero consentire al settore di raggiungere tutti gli obbiettivi di sostenibilità di Agenda 2030 e il livello di implementazione delle pratiche sostenibili nel contesto italiano”, hanno messo in evidenza gli esperti della Cattolica. Fortunatamente, come hanno riconosciuto Capri e Lamastra, lo studio attesta come la ristorazione sia un settore in evoluzione: accanto ai “pionieri” della sostenibilità, sempre più cuochi sono sensibili al tema, così come alcune scuole e università che hanno intrapreso percorsi pensati specificamente per formare i nuovi manager alle buone pratiche per una ristorazione che impatti sempre meno sull’ambiente.