Rivoluzione nel mondo di etichette per alimenti e bevande. Dal dicembre scorso è in vigore il regolamento comunitario 1169/2011 che uniforma l’etichettatura degli alimenti nei paesi Ue “affinché il consumatore riceva informazioni essenziali, leggibili e comprensibili per effettuare acquisti consapevoli”.
Conseguenza pratica: tutti i prodotti alimentari dovranno provvedere a dotarsi di etichette più trasparenti nel contenuto e “ben visibili” con caratteri di grandezza definita in base alle dimensioni della confezione e stampati in modo chiaro e leggibile. Responsabile delle informazioni sull’etichetta sarà l’operatore (nome o ragione sociale) che commercializza il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione europea, l’importatore. Tutto ciò va ad aggiungersi a quanto già previsto (denominazione dell’alimento, elenco degli ingredienti e relativa quantità, quantità netta, scadenza e termini di conservazione, nome o ragione sociale dell’operatore o importatore che commercializza il bene, paese d’origine, istruzioni per l’uso e volume alcolometrico oltre l’1,2%).
In pratica, per i prodotti confezionati venduti al supermercato cambia poco.
La rivoluzione è per i ristoranti, cui è estesa la normativa. Le disposizioni sugli allergeni riguardano sia gli alimenti pre-imballati sia quelli sfusi, quindi interessano anche i piatti del menu di ristoranti, bar, gelaterie, pasticcerie, mense, ospedali, bancarelle di fiere, persino compagnie aeree e ferroviarie se la tratta inizia in un paese Ue.
Previsione non difficile da rispettare per i ristoranti di un certo livello, stellati e dintorni per intenderci, ove il numero di piatti è limitato. Ma nel resto della ristorazione commerciale, con ristoranti che devono gestire in contemporanea anche fino a trenta piatti diversi a pasto, che cambiano ogni giorno e ruotano su cinque settimane, la vita si complica. E non poco.
Nondimeno, il comparto non era impreparato (la disposizione risale al 2011, i tre anni prima dell’entrata in vigore servivano appunto a permette di attrezzarsi): materiale informativo scritto per segnalare gli allergeni presenti nei prodotti, ecco una soluzione. Che tuttavia non risolve un altro problema: la contaminazione crociata. I piatti sono cucinati infatti in contemporanea e quindi a rischio di entrare in contatto tra loro. Senza considerare la “sicurezza” della materia prima, che potrebbe essere stata lavorata in stabilimenti contaminati. Ecco perché la sola indicazione degli allergeni su appositi cartelli o menu o libri consultabili non è garanzia sufficiente per il consumatore.
E poi c’è un altro aspetto da considerare: la legge c’è (così come le sanzioni per i trasgressori), ma mancano le circolari attuative. Che, tra le altre cose, possono variare anche molto da paese a paese. Il panorama a riguardo e assai variegato. Spicca tra tutte una soluzione vagamente pilatesca, che non è stata, come qualcuno potrebbe sospettare, l’Italia ad adottarla: è stata infatti l’Olanda a stabilire che questo regolamento non può essere applicato alla ristorazione. Punto e a capo.